Lo scorso anno Folkest ha offerto una riflessione sul rinnovato gusto per la scoperta del nuovo e del diverso che ci induce, al di là di ogni esotismo di maniera, a confrontarci con rinnovata passione con le nostre radici, con la cultura profonda che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto, in questa vecchia Europa che tutti vorremmo più delle nazioni che degli stati di tipo risorgimentale imposti alle nazioni formate dai popoli.
La trentasettesima edizione di Folkest ha percorso in lungo e in largo, per quasi un mese, tutta la regione dialogando con l’Istria, portando ovunque il meglio della musica popolare dei cinque continenti e riservando ampio spazi a quella regionale.
A spettacoli giocosi e festosi si sono alternati momenti più riflessivi, affidati a cantautori che traggano ispirazione dalle loro radici e all’arte di solisti di strumenti rari e inconsueti, in un susseguirsi di canti in lingue diverse che narrano storie comuni, storie di gente semplice che appartengono a tutti e fanno parte dell’orgoglio culturale dei popoli.
Un grande laboratorio artistico capace di attirare su di sé l’attenzione di tutta l’Europa e di proporre due precisi momenti di riflessione.
La prima è sulle tante culture presenti nell’Arco Alpino, nelle varie declinazioni della musica e della cultura popolare.
L’altra sulla qualità degli spettacoli di maggiore notorietà per il grande pubblico: da Neri Marcorè a Elliot Murphy, da Bella Ciao a Hevia, dai New Trolls a Rudi Bučar, da Vincenzo Zitello a Eugenio Finardi, da Angelo Branduardi agli Uriah Heep.
Pensiamo non sia poco!