Lungje, po’! il nuovo libro edito da FolkestLibri
In attesa della 42^ edizione di Folkest, che si terrà dal 17 settembre al 5 ottobre 2020, e di poter ascoltare online le registrazioni dei concerti che si terranno a luglio tra Capodistria e 27 comuni del Friuli Venezia Giulia – online da agosto – Folkest esce con la pubblicazione del libro “Lungje po’” (p.258 e CD, ed. Folkest, 2019, 20€). Un’occasione unica per saperne di più sulla musica tradizionale friulana e influenze limitrofe.
In un unico volume è infatti, raccolta l’approfondita ricerca sul campo di Andrea Del Favero, direttore artistico del festival Folkest, ricercatore giornalista e musicista, rivolta alla musica tradizionale del Friuli, terra di convivenze e compresenze, di incontri e scontri tra storie, culture e lingue, un territorio crocevia tra mondi diversi, come quelli latino, slavo e tedesco. Lungje po’! é una carrellata dettagliata e affascinante nella storia tra antichi strumenti, prassi esecutive ormai perdute insieme a una serie di esempi musicali provenienti da documenti storici e registrazioni sul campo, trascritte su pentagramma da Dario Marusic e un compact disc con una significativa serie di musiche originali di orchestrine popolari friulane. Ciò che infatti, è rimasto vivo per maggior tempo della lunga tradizione rituale del ballo, dopo la scomparsa e la trasformazione dei riti popolari, sono proprio le orchestrine, per lo più formate sino a poco tempo fa, da anziani suonatori.
Il titolo del corposo volume Lungje, Po’! si riferisce al grido che i ballerini lanciavano all’indirizzo dei suonatori per incitarli a continuare a suonare: è stato scelto per simboleggiare l’augurio rivolto al presente e al futuro della musica popolare della regione nord-orientale e non solo.
L’autore ci ricorda come nel lasso di tempo che coincide a grandi linee, tra l’apparizione sul palcoscenico della storia di Martin Lutero e lo scoppio della Rivoluzione Francese, si sia assistito in Europa, e quindi anche in Friuli, ad una grande trasformazione della cultura popolare. In un Friuli, terra ricca di leggende sulle streghe e soprattutto sulle figure di sciamani (basti pensare al fenomeno – tradizione dei Benandanti, ma anche a certi aspetti dei riti carnevaleschi), dove si riscontra una sopravvivenza inusuale degli antichi riti, che continuarono ben oltre il Concilio di Trento (1545 -1563). Il volume, presenta poi un’analisi delle trasformazioni dell’assetto economico e sociale che conducono al Settecento, sempre in un quadro complessivo che tiene in debito conto gli eventi storici continentali. Da qui si snodano i capitoli che narrano le ripercussioni dell’industrializzazione sul territorio friulano, i fenomeni migratori e lo sviluppo in contemporanea di nuove pratiche musicali con il revival urbano della cultura popolare o il delinearsi della villotta come espressione tipica locale, la nascita delle bande musicali, l’introduzione di nuovi codici con l’affermarsi della notazione e della scrittura musicale dove per ogni suonatore era prevista una precisa parte, ben scritta e non modificabile né variabile. L’ultima parte del secolo infine, si presenta estremamente dinamica e complessa. La trasformazione sociale in atto in questo periodo fu molto forte: da un lato l’emigrazione, questa volta verso terre ancor più lontane in Europa e nel mondo (in primis l’Argentina) cambiò radicalmente gli orizzonti del sentire popolare, dall’altro, una parte della popolazione iniziò a lasciare le valli alpine e le campagne per insediarsi nelle città, dove le nascenti forme industriali e il commercio offrivano più opportunità di lavoro. In questo periodo entrano a diretto contatto elementi di provenienze etniche diverse: nel goriziano e nell’udinese, quelli friulani e sloveni, nel Friuli Occidentale, quelli friulani e veneti.
Nel corso della ricerca emerge che, a parte alcuni balli arcaici ancora parzialmente in uso in alcune aree ristrette, la massima parte del repertorio considerato e praticato dai suonatori più anziani come vecchia musica tradizionale, era formato dalle Polke, dal Valzer, dalla Stajare, con qualche più rara Mazurka, Manfrina o Scottish, senza contare gli infiltrati relativamente più recenti, come la Raspa, lo Spirù e l’One Step, oggetto di una vera e propria moda nel periodo tra le due guerre mondiali.
Si prosegue poi fino all’epoca di quel drammatico spartiacque che fu il terremoto del 1976, per entrare, infine, nella contemporaneità del Folk revival e della riproposta musicale, con i tantissimi nomi che segnalano la vivacità di un’area quella friulana, considerata spesso a torto, periferica: dai Canzonieri a La Sedon Salvadie; dall’autore carnico Lino Straulino fino a Loris Vescovo, Franco Giordani ed Elsa Martin, solo per citare tre autori che hanno ricevuto riscontri a livello nazionale.
Il volume prosegue con la presentazione e l’analisi delle varie famiglie di strumenti presenti nella tradizione popolare dell’area: dalla fisarmonica al violino, accompagnati da chitarra e liròn (oppure dal contrabbasso) con la saltuaria presenza del mandolino e del clarinetto. L’altra forma di strumentazione presente, principalmente nel canal d’Incarojo (come continuazione della tradizione, e nelle aree di cultura slovena, come mutuo dall’Oberkrajner austro-sloveno), è la Bandella di tipo alpino, composta da strumenti a fiato e fisarmonica.
L’autore conclude proponendo alcune riflessioni di Hermann Bausinger – ricercatore e studioso tedesco emblematico per la ricerca sulle espressioni del Folk – sui rapporti fra la tradizione e la modernizzazione e la definitiva trasformazione della civiltà contadina. Si può infatti, usare il termine trasformazione perché nella realtà dei fatti della storia, si può constatare come la cultura popolare si sia sempre trasformata, adattata fino a sembrare in alcuni periodi addirittura scomparsa, per poi riemergere invece, improvvisamente. In definitiva, conclude l’autore, si tratta di una cultura che pare non morire mai e Lungje po’! ci aiuta a capire il perché.