Come siete venuti a conoscenza del concorso “Suonare@Folkest” e per quale motivo, principalmente, avete deciso di partecipare?
Ci siamo imbattuti nel concorso Suonare@Folkest tramite il Web, cercando festival a cui proporci e bandi a cui partecipare. Ci è parso interessante e abbiamo deciso di presentare la domanda. Solo in seguito alla selezione di Loano, e confrontandoci con alcuni amici musicisti, abbiamo avuto la piacevole sorpresa di esserci trovati ad avere a che fare con uno dei più rinomati concorsi e festival folk italiani.Il motivo per cui abbiamo deciso di partecipare è per non cedere all’accordo con una crisi che rischia di paralizzare la cultura e, nonostante la nostra provenienza dall’ambito teatrale abbiamo deciso di inserire, anche se in un campo a noi piuttosto ignoto, organizzativamente parlando, il nuovo frutto così riccamente musicale di una ricerca artistica in cui crediamo e che instancabilmente, elasticamente e rocambolescamente, cerchiamo di rinnovare da anni, in barba a qualsiasi genere di crisi.
Parliamo di voi e della vostra musica: presentatevi specificando i singoli strumenti, il genere, perché lo avete scelto, da cosa traete ispirazione?
A parte una chitarra e una grancassa su cui basiamo ritmo e melodia di tutte le canzoni, compaiono, in alcuni pezzi, una concertina ed un flauto traverso, talvolta si uniscono all’ensemble una fisarmonica ed un basso acustico: nulla di serio e definitivo. Dunque i reali strumenti della Figurelle Orkestar sono corpi umani che armonizzano movimenti: da quelli interiori, emotivi, nascono le melodie e le pulsazioni vocali, e da quelli esteriori si dà vita a percussioni e coloriture. Altro strumento fondamentale (oltre a corpo e voce) è il testo, che in ogni canzone viene curato come una piccola drammaturgia, come un’azione fisica utile ad incarnare una breve storia.
Il genere è – ahimé! – da definire: noi lo abbiamo chiamato folkassalto; da folklore che in antico sassone significa sapere del popolo… una volta che il popolo sa, parte all’assalto di chi lo vorrebbe sottomesso nell’ignoranza!
Questo genere più che una scelta è stata una elezione, nata dalla necessità di realizzare al meglio le nostre possibilità espressive e la nostra esigenza di socialità attraverso l’atto creativo. Da Figurelle Orkestar nasce quello che non potrebbe essere altrimenti: una pianta di pomidoro non sceglie, dà o non dà pomidoro. Null’altro. Quando si trae ispirazione da altri, temo sia difficile offrirne a chi ti segue: l’ispirazione sorge da un bisogno intimo ed individuale. Nonostante questo ci sono esempi meravigliosi a cui riferirsi, tendere, anelare. Nei contenuti (più che nella forma), vorrei somigliare ai musicisti rom e gitani ed i contesti in cui suonano, le ragioni e le spinte – così antichi da essere quasi invisibili- che li mettono al centro di continue celebrazioni. Tutto apparentemente casual e invece sembra seguire un moto simile a quello che forma le galassie.
Da dove venite e com’è, dalle vostre parti, la situazione della musica dal vivo?
Veniamo da Torino: è in Italia e temo che la situazione sia un po’ come altrove: “Che bello spettacolo il vostro, siete bravissimi… suonate da noi?! Però, ehm! non ci sono soldi!” Ma se non ci sono, perché si continuano ad usare i soldi? A Torino si è lanciata la politica dei grandi eventi: si spendono migliaia di euro per service mastodontici, pubblicità, etc…e si dissangua il territorio fatto di artisti che gli danno vita, che lo fertilizzano. Racconto una triste ovvietà perché voglio invertire la tendenza, ovvero: prima la cura per gli artisti (anche se meno noti dei Subsonica, ad esempio) e poi per il resto o almeno a pari livello. Credo sia vitale riportare l’atto creativo ad una relazione prevalentemente umana, tanti piccoli, frequenti, vitalissimi concerti (remunerati), in cui si coltiva anche l’attenzione di chi guarda, perché l’amplificazione sia le orecchie ed i cuori di chi ascolta. E’ una piccola provocazione che potrebbe bilanciare le sorti e restituire -a chi ne è all’altezza- la dignità di questo mestiere. Si stanno realizzando possibilità in questo senso, qui a Torino si stanno animando (come da tempo non accadeva) piccoli palchi su cui si suona quasi tutte le sere.
Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale e il territorio di provenienza?
La si ascolta e se ne imitano gli obiettivi: la musica tradizionale ha nelle proprie radici la funzione di liberare forze sopite nelle persone, di scatenare energie per un rito collettivo e convogliarle verso il sublime (sub-limen = sotto il limite). I territori sono stati cementificati e la musica tradizionale scivola sulla terra così come sul corpo delle persone: la tradizione è diventata tecnica, un cliché che imita usi e costumi antichi (si balla la danza occitana come si balla il country, la salsa, etc.); gli artisti devono lavorare per re-incarnarla in loro stessi e trasmettere l’essenzialità della funzione performativa in chi ascolta.
Torniamo a “Suonare@Folkest”: come vi siete trovati, cosa ricordate soprattutto di quella serata?
E’ stata una bellissima serata (certo anche perché abbiamo passato le selezioni!), durante la quale si sono sciolti tutti i vincoli competitivi tra i gruppi e abbiamo ballato sulla musica ed incitato i nostri concorrenti a dare il meglio. Perché? Perché la prima e maggiore sconfitta è cadere nei meccanismi glaciali della competizione: innanzitutto il bene-essere, la gioia dei corpi, poi la reazione ad una scelta in cui potevamo solo essere sicuri di avere dato il meglio di noi stessi…ma anche certi che questo -spesso- non basta a convincere una giuria. Il tecnico, nella serata di Loano, si è rivelato molto competente e il cibo per gli artisti ottimo ed abbondante.