Come sei venuto a conoscenza del concorso “Suonare@Folkest” e per quale motivo, principalmente, hai deciso di partecipare?
Conoscevo da tempo “Suonare@Folkest” e non è la prima volta che vi prendo parte. Il motivo della mia partecipazione è il prestigio che ha questa manifestazione e il credito che potrei ricavarne per la mia attività.
Parliamo di te e della tua musica: presentatevi specificando i singoli strumenti, il genere, perché lo avete scelto, da cosa traete ispirazione?
La mia musica è incentrata maggiormente sul repertorio di tradizione orale della mia regione che io riarrangio liberamente con ciò che più ha influenzato la mia crescita musicale e i miei gusti: la musica afroamericana (blues, soul, gospel ecc.), la musica classica e il cantautorato italiano. A tal proposito cerco di utilizzare strumenti della tradizione come la zampogna, il mandolino, il tamburello, facendoli dialogare con la chitarra classica ed elettrica, l’organo hammond ecc. A parte l’amore incondizionato che ho per la musica di tradizione ho scelto questo genere per dare il mio piccolo contributo alla valorizzazione di una grande ricchezza che abbiamo in Italia che è la diversità culturale a discapito dell’omologazione pop e della mercificazione della musica.
Da dove vieni e com’è, dalle tue parti, la situazione della musica dal vivo?
Io vengo dal Molise. In una regione di circa trecentomila abitanti in tutto non ci può essere una florida attività live, anche se ci sono poche situazioni di qualità. La politica clientelare che purtroppo ancora impera nella nostra regione ha il suo peso negativo. Confido però nelle nuove politiche legate a figure giovani che mirano ad una rivalutazione delle aree cosidette interne e delle sue potenzialità. D’altronde in questo periodo storico tutto è più difficile, ma parlare di questo non credo sia prerogativa principale dell’intervista.
Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale e il territorio di provenienza?
Si può dire che sono nato nell’ultimo periodo storico dove la musica tradizionale aveva ancora il suo ruolo di sempre. Mia nonna cantava per i campi, ho un vago ricordo della tarantella suonata e ballata dai miei nonni e zii durante la festa dell’uccisione del maiale. Sin da piccolo spinto da mio padre ho fatto parte del gruppo folkloristico locale e di un’altra formazione capeggiata da un cantastorie, ultimo di una lunga tradizione in zona, con il quale facevamo serenate e i giri di questua di carnevale e di capodanno, le “Maitunate”. Da quasi dieci anni ho preso il testimone dell’antica tradizione della “ciaramella”, la novena di Natale, che mi è stato passato dagli anziani zampognari. Dal 16 al 24 dicembre giro per le case del paese tutto il giorno e tutti i giorni a suonare davanti ai presepi. Quindi diciamo che la tradizione in piccolissima parte l’ho anche “vissuta” in un certo senso. Molto importante poi è stato il lavoro di ricerca che ho svolto con Antonio Fanelli (Università di Firenze e Istituto de Martino) nelle campagne del nostro paese, confluito nel libro “Aque e jerve in comune” edito da “Nota” e dal quale nasce il mio progetto.
Torniamo a “Suonare@Folkest”: come vi siete trovati, cosa ricordate soprattutto di quella serata?
Adoro il Nord e la sua ospitalità, attenta e poco “caciarona”, quindi mi sono trovato bene. Sono rimasto colpito dalla varità delle proposte dei miei concorrenti, da dove c’è sempre da apprendere. Unica nota dolente, lo scarso pubblico…