Come siete venuti a conoscenza del concorso “Suonare@Folkest” e per quale motivo, principalmente, avete deciso di partecipare?
Siamo a venuti a conoscenza del concorso “Suonare@Folkest” tramite il sito ufficiale del Festival Folkest (www.folkest.com). Conoscevamo il festival di Folkest sin da piccoli, poiché nostro padre Michele Sangineto, liutaio di strumenti antichi, aveva esposto i suoi strumenti a Spilimbergo e a San Daniele del Friuli nell’ambito della manifestazione. Abbiamo entrambi serbato un bellissimo ricordo di Spilimbergo e dell’aria di internazionalità che si respirava nei concerti offerti. Quest’anno nel desiderio di portare la nostra proposta musicale a Folkest, festival prestigioso perché predilige la qualità, abbiamo inviato la nostra candidatura al concorso.
Parliamo di voi e della vostra musica: presentatevi specificando i singoli strumenti, il genere, perché lo avete scelto, da cosa traete ispirazione?
Il progetto dell’Ensemble Sangineto nasce molti anni fa e ha subito numerose trasformazioni negli anni. Nucleo del gruppo siamo io e mio fratello Adriano e suoniamo gli strumenti più rappresentativi della liuteria paterna, il salterio ad arco e l’arpa popolare (o celtica). Sin dagli albori del nostro percorso musicale ci siamo accostati alla musica antica e in parallelo alla musica popolare, in particolare alla tradizione irlandese, inglese, bretone e italiana da cui abbiamo attinto ispirazione per creare nostre composizioni coniugando sonorità antiche coi ritmi moderni. Quando nel 2011 è iniziato il sodalizio artistico con Tiziano Cogliati, chitarrista e cantante, polistrumentista e direttore di coro, partendo da questa idea iniziale abbiamo dato forma a un progetto che volutamente contamina generi musicali e abbraccia influenze stilistiche eterogenee. Essendo tutti provenienti da esperienze musicali diverse (folk, classica, jazz, musical, gregoriano, musica antica) abbiamo scelto di farle convergere negli arrangiamenti, non in una mera giustapposizione di generi, ma nel tentativo di fonderli armonicamente e creare un ponte tra i diversi linguaggi musicali. Con l’arpa celtica, la chitarra, il salterio ad arco e le tre voci e con l’intervento occasionale di percussioni e tastiera, spaziamo da brani tradizionali a brani d’autore e di nostra composizione, per lo più di sapore “celtico”. In una prima fase inziale abbiamo sondato la tradizione irlandese (album “On a Silver Cloud”) reinterpretandola alla luce della nostra esperienza e del sostrato musicale in cui siamo immersi, per poi rientrare nei nostri confini e riflettere su una modalità per riproporre in un modo nuovo la tradizione italiana (album “Seministerra”). Oltre all’uso di strumenti inconsueti accostati a strumenti più moderni e frequenti nelle formazioni musicali attuali la nostra proposta musicale si incentra sull’uso della vocalità ad ampio spettro: le polifonie raffinate e i giochi contrappuntistici e ritmici tra la voce di Caterina e quelle di Adriano e Tiziano, che creano un naturale completamento armonico, fanno delle tre voci dei perfetti strumenti musicali. Ci siamo accostati alla musica popolare in parte perché è insita nel nostro DNA: sin da piccoli abbiamo vissuto a stretto contatto con musicisti di questo ambito musicale e ne abbiamo assorbito inconsciamente il linguaggio. Dopo un percorso di formazione classica abbiamo scelto consapevolmente il “folk” in quanto esso utilizza un linguaggio diretto, schietto ed efficace ed è pertanto il modo più naturale e spontaneo di esprimersi musicalmente. Ci affascina come questo linguaggio comune assuma declinazioni variopinte nelle diverse culture. L’ambito della musica folk ci consente, inoltre, di dare voce a strumenti che facevano – e fanno parte tuttora – della cultura musicale popolare ma che sono spesso dimenticati o poco utilizzati sensibilizzando ad una progressiva riappropriazione del nostro passato culturale musicale, che costituisce una ricchezza a cui si deve attingere. In parallelo il nostro intento è di riproporre la tradizione mediandola con i linguaggi attuali per colmare la distanza tra il folk e la musica di più ampia diffusione creando una confluenza che non snaturi la tradizione, ma che al contrario ne garantisca un continuo rinnovamento e trasmissione. Le nostre fonti di ispirazione musicale sono dei numi della musica popolare: Alan Stivell, arpista, bardo e maestro della contaminazione, che ha reso la musica e il canto bretone famosi in tutto il mondo; Carlos Núñez, con cui abbiamo avuto il piacere di collaborare più volte, maestro nel creare i ponti tra le tradizioni, e Karen Matheson, la cui vocalità ha da sempre costituito una fonte di ispirazione per me.
Da dove venite e com’è, dalle vostre parti, la situazione della musica dal vivo?
Tutti e tre veniamo dall’hinterland milanese e monzese. Nella nostra provincia non si riscontra un grandissimo interesse per la musica popolare, rispetto a regioni che esibiscono le proprie tradizioni musicali con orgoglio, come la Sardegna, le valli Occitane, il Tirolo. Il maggior numero di concerti promossi e delle risorse economiche sono investite nell’ambito operistico e della musica classica. Esistono tuttavia esempi non troppo distanti di festival folk che sopravvivono da alcuni anni (quali “Isola Folk”). In linea generale si riscontra una discreta diffusione del genere “bal folk”, ossia della musica per le danze popolari, a discapito del “folk” d’ascolto. Esistono diversi gruppi che suonano “bal folk” e altrettante sale che ospitano serate danzanti.
Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale e il territorio di provenienza?
Forse proprio a seguito del mancato entusiasmo che si avverte per il recupero delle tradizioni musicali a Monza e dintorni, dove siamo nati, il nostro rapporto con la musica tradizionale della nostra regione non si è instaurato da subito. La nostra casa era frequentata da musicisti irlandesi, spagnoli, tedeschi, francesi e la curiosità per altre tradizioni musicali è sorta invece spontanea. Tuttavia, data la discendenza calabrese paterna non ci è mancato invece il contatto con la tradizione musicale del sud Italia. Abbiamo cominciato a praticare noi stessi la musica tradizionale italiana (sia lombarda che di altre regioni italiane) sotto la guida dell’etnomusicologo Franco Brera con cui abbiamo collaborato a stretto contatto per diversi anni alla realizzazione di spettacoli e di lavori discografici per la RED Edizioni ( “Filastrocche” – 2007 , “Ninna nanne e filastrocche, 2010 e altri).
Torniamo a “Suonare@Folkest”: come vi siete trovati, cosa ricordate soprattutto di quella serata?
Partecipare alle selezioni regionali e alla serata finale di “Suonare@Folkest” è stata senz’altro un’occasione per conoscere e venire a contatto con musicisti che hanno intrapreso dei percorsi musicali simili ai nostri con declinazioni eterogenee. Purtroppo ci è dispiaciuto constatare la scarsa partecipazione di pubblico alla serata finale, poiché la musica è prima di tutto per la gente, pensata e suonata per trasmettere sentimenti umani e cultura, purtuttavia ricordiamo con nitidezza la qualità e la passione di tutti i gruppi musicali che vi hanno partecipato, con alcuni dei quali si è instaurato un rapporto di amicizia.